PER AMORE



Di Stefania Bocchetta





PRESENTAZIONE



Ho conosciuto Stefania Bocchetta durante una manifestazione di presentazione di poeti, l'ho sentita più volte al telefono: ha una voce allegra, suadente, modulata, penetrante e convincente, ma soprattutto l'ho conosciuta attraverso il suo romanzo "Per Amore", che racconta con vari intrecci narrativi, vicissitudini, situazioni, gioie ed amarezze, amori ed ironie di un cast di personaggi che le ruotano intorno sia nell'ambiente di lavoro che nella vita.

Questi personaggi portano nei loro volti espressioni enigmatiche che possiamo definire maschere, portano scavati nei loro cuori tutte le ferite, le cicatrici che difficilmente si rimarginano di questo mondo angosciato e dolorante. Essi attraverso un'escalation di situazioni, di ingarbugliati intrecci amorosi, di rocambolesche fughe, hanno raccolto i segni di una realtà quotidiana a volte paradossale, a volte irrazionale, a volte goffa e trasognata; hanno raccolto anche ogni segno d'ironia o violenza verbale e morale del mondo d'oggi e tutte le gradazioni della sofferenza e del desiderio d'amore, insomma tutte le sfumature dei sentimenti: dall'amore all'odio, dalla durezza alla dolcezza, dall'egoismo alla solidarietà, dal baratro alla rigenerazione.

Ci sono personaggi minori che non sono marginali, che non sono meno importanti. Questi personaggi non sono posti al di fuori del tempo e non sono anonimi, ma si riferiscono a personaggi reali; Stefania li ha appena travisati, storpiati, caricaturati e derisi nei cognomi come per una sorta di benevola vendetta verso coloro che manifestano un bieco e assurdo maschilismo nella società attuale. Per affrontare problematiche di tale entità Stefania Bocchetta ha avuto bisogno di tanto coraggio, di una buona dose di ironia ed una ricerca minuziosa nella nebulosa dei sentimenti e dei tormenti umani. Leggendo "Per Amore" ho potuto rilevare come Stefania Bocchetta abbia trovato la forza di scrutare il misterioso animo femminile, il fascino della sua profonda umanità e, attraverso le occulte forze del suo animo, ho potuto cogliere le note ora dolci, ora amare della sua esistenza, il suo messaggio di speranza e d'amore profondo, la fiducia che lei ripone nel prossimo e soprattutto lo spirito cameratesco dell'autrice e dei suoi compagni di lavoro, i loro tormenti, le nostalgie, le malinconie di cose perdute, insomma tutti i momenti particolari della vita.

Ella decanta e racconta con forti connotazioni psicologiche situazioni e momenti dell'animo umano oltre che fattori esteriori, canta l'amore, lo stupore, l'amicizia,l'incanto della natura, l'etica comportamentale, la solitudine, il rimpianto.

La trama del libro non è ingarbugliata e non ve la racconto perché questo libro "Per Amore", lo si legge di un fiato, ha un linguaggio schietto e lineare. Leggetelo, perché in esso, come diceva Anatole France, vi troverete le avventure dell'anima dell'autrice.

L’editore Dott. Comm.re Romeo Iurescia









PREFAZIONE a cura dell’autrice.

Salve! Chi sono? Parafrasando Pirandello, potrei rispondervi: uno, nessuno, centomila! Uno perché il mio nome è Stefania, l’autrice di quanto andrete tra poco a leggere; nessuno perché il mio personaggio non è un protagonista nella trama di questa storia; centomila perché in ognuno dei miei protagonisti c’è qualcosa di me e tutti vivono grazie alla mia fantasia ed alla mia penna.

In questa breve prefazione voglio essenzialmente raccontarvi com’è nato “Per Amore”. Voglio spiegarlo soprattutto a coloro, parenti, amici e colleghi, che possono e sicuramente lo faranno, riconoscere nei nomi e nelle descrizioni dei protagonisti, i loro  congiunti o conoscenti o addirittura se stessi.

Questo romanzo, un’altra saga familiare che così tanto mi piace inventare, è nato per gioco, un puro, semplice gioco tra amici. Mi era stato chiesto, più e più volte, dalle mie colleghe della Confesercenti di Campi Bisenzio di scrivere qualcosa che coinvolgesse l’ufficio e così è stato.

È nata una trama corale dove i due protagonisti, Sabrina Valentini e Roberto Lombardini, sono affiancati da un folto gruppo di personaggi (nati per esaudire le molte richieste di partecipazione), ognuno dei quali ha una storia propria da narrare, ed uno stuolo di figure minori (create allo stesso scopo) la cui presenza in qualche modo influenza il volgere degli eventi narrati.

Non è stato facile tenere le fila di tutti, ma è stato più difficile tenere dietro, inventando nuovi ruoli, a tutti coloro che hanno richiesto di aderire. Altri li ho coinvolti senza che lo sapessero e chiedo loro scusa se per caso, con fatti o parole, dovessi averli offesi: non era nelle mie intenzioni.

Ho lasciato ai colleghi, agli amici, scegliere “tutto” ciò che riguardava il proprio personaggio, o meglio, ho lasciato che lo credessero, in realtà sono io e soltanto io che ho stabilito tutto, pilotando le loro scelte.

Ammetto però che il continuo dialogo con loro è stato fonte di ispirazione continua per me e probabilmente una gran rottura di scatole per loro.

Ho deciso i protagonisti, Sabrina per amicizia, Roberto per simpatia; ho scelto i mestieri, l’oreficeria perché amo i gioielli, la recitazione per prendere un pochino in giro un amico simpatico: il resto è venuto da sé.

Ho deciso di rendere omaggio anche a persone a me molto care, così per i genitori adottivi dei ragazzi Corsetti ho scelto i miei nonni materni Agostino ed Emma, per i due fratelli i miei adorati nipoti, per il ruolo dell’avvocato del capostipite dei Valentini il mio nonno paterno ed i miei familiari per il personale di servizio della protagonista. Per tutti gli altri lascio ai lettori che sono in grado di farlo, il divertimento della caccia al riconoscimento e non sarà difficile.

Ho assolto così alla richiesta delle colleghe, il tutto a loro rischio e pericolo naturalmente, e non me ne vogliano i colleghi maschietti se ho fatto fare loro una brutta fine: una piccola vendetta delle donne.

Spero che questo romanzo procuri piacere a tutti i lettori almeno quanto divertimento ho provato io nello scriverlo.

Questo sarà l’unico libro nel quale il riferimento a fatti reali è, per davvero, puramente casuale anzi, è bene precisare e ben ribadire che è inesistente in quanto ciò che andrete a leggere è frutto esclusivo della mia fantasia e nulla più, mentre ai nomi e persone il riferimento è veramente voluto!. Buon divertimento!

                                           Stefania







Capitolo I

Gli inizi

Il sole era già al suo posto, scintillante e luminoso come sempre.  Era un sole ancora caldo benché fosse già Settembre da una settimana. Il cielo era limpido di un azzurro intenso, affollato da  un via vai indaffaratissimo di uccelli.

Gli alberi del parco erano ancora ricoperti da un fitto, rigoglioso fogliame verde che presto, l’Autunno avrebbe provveduto ad ingiallire ed accartocciare impietoso. I fiori conservavano ancora i loro smaglianti colori e le fragranze impregnavano l’aria limpida e più fresca del mattino.

Sabrina adorava quella casa di pietre in bella vista, disposta su due piani, spaziosa, accogliente, sicura, arredata con semplicità ma con mobili di gran pregio e di gusto squisito, dove viveva felicemente e serenamente da tre anni. Amava moltissimo la quiete di quell’angolo della proprietà, un “cantuccio” infinitesimale rispetto all’immensità del mondo o dell’universo eppure non ne desiderava uno né più grande, né più bello, né più ricco: lo aveva scelto proprio per questo, per trascorrervi tranquillamente la vecchiaia, tra passeggiate nella natura, magari in buona compagnia o dedicandosi agli hobbies preferiti, alla lettura, alla meditazione, alla musica classica e latino-americana, al ricamo, in perfetto relax.

Sorrise pensando al programma che aveva in mente per quella giornata e che non prevedeva che si dedicasse a niente di tutto ciò, o almeno, non lo avrebbe fatto con la solita dedizione: li avrebbe decisamente trascurati per qualcosa di molto più importante, o meglio, per qualcuno.

Lui si trovava al di là dell’ampia finestra del soggiorno luminoso e lei era lì, con ancora indosso la vestaglia di seta azzurra, una tazza di caffè in mano, i capelli castani pettinati in un morbido caschetto, un’espressione di amorevole e profonda tenerezza le addolciva i sempre bellissimi occhi di color topazio fissi sulla figura alta e sempre impeccabile del suo uomo.

Quel giorno, il suo meraviglioso compagno, Roberto Lombardini, il celebre attore teatrale che aveva incantato generazioni di platee, compiva 60 anni! Nell’ambiente artistico il loro rapporto era considerato una rarità per la durevole resistenza, eppure non erano passati nemmeno trent’anni dal loro primo incontro. Non era nemmeno cambiato poi tanto da allora: sì, era invecchiato ma il suo fascino era lo stesso di sempre ed aveva conservato un fisico asciutto, da ex sportivo praticante. I suoi capelli erano più bianchi ma lui non se ne preoccupava affatto, anzi detestava il solo pensiero di poterli tingere e li portava ancora un po’ più lunghi degli altri uomini della sua età ed adorava sempre lasciarsi andare, mentre lei li accarezzava lentamente intrecciandovi le dita. La barba “sale e pepe” era sempre ben curata.

Gli occhi scuri così espressivi, luminosi che denunciavano chiaramente un animo nobile, gentile, estroverso, sensibile ed altruista. Recitava ancora ma si prendeva anche delle lunghe pause dal lavoro, preferendo sempre il teatro ma concedendosi anche qualche rarissima partecipazione straordinaria in film di alto livello, ma le rappresentazioni che entrambi preferivano erano quelle che dedicava a lei: da fine dicitore declamava versi alla sua donna amatissima.

“Ancora oggi dopo tanti anni!” sorrise affettuosa.

Uscì sulla veranda e si accomodò sul dondolo. Lasciò scorrere lo sguardo tutto intorno, poi sulla sua amatissima casa. Proprio da lì era iniziata la sua avventura, la sua battaglia per dimenticare un passato fin troppo doloroso ed i ricordi le si affacciarono alla mente improvvisi, nitidi, violenti ed indesiderati. Con un moto di stizza cercò inutilmente di liberarsene: il passato, relegato in un angolo sperduto della memoria in un’illusione di oblio, ora si imponeva con una forza che non riusciva a contrastare.

Tutto aveva avuto inizio all’alba di una calda mattina d’estate, o meglio, quel giorno avevano iniziato ad essere un po’ meno Corsetti ed un po’ più Valentini. O forse, ancora prima, quando Maria Banti aveva accettato le attenzioni di Fausto Corsetti, di quindici anni più anziano e molto più esperto della sedicenne ragazzina di campagna. Non era occorso molto tempo perché lei restasse incinta e, probabilmente, non era nemmeno la prima volta in cui lui si era ritrovato in una situazione simile, ma questa volta aveva dovuto scontrarsi con la canna del fucile del vecchio Banti.

Carattere bellicoso almeno quanto quello del seduttore della figlia e difettoso di buone maniere, aveva convinto il Corsetti a sposarla senza ulteriori indugi. Sei mesi dopo, in una vecchia e decrepita stamberga sperduta fra i campi mal coltivati, soffocata dal fango autunnale, imprigionata nel freddo glaciale d’inverno e poi, di nuovo, nella melma insidiosa a primavera, tre misere stanzuccie senza servizi, se non quattro traballanti assi di legno ed una scarsa pulizia, era nata Sabrina.

Era una neonata robusta che aveva subito urlato tutto lo sdegno e la rabbia per essere venuta al mondo in un tugurio simile, da genitori così miserabili che non l’avrebbero mai amata e che lei non avrebbe mai amato. Per circa due anni aveva assistito da sola agli scontri fisici violenti dei suoi genitori, oltre ad un certo numero indefinito di aborti, più o meno spontanei e quando tali “spettacoli” avrebbero influito sul carattere della bambina, nessuno avrebbe potuto dirlo e nessuno del resto se ne preoccupava.

Sabrina aveva imparato in fretta che, per non incorrere nelle ire violente dei genitori, occorreva tacere, non fare troppo rumore, non disturbarli mai qualsiasi cosa facessero, rintanarsi in un anglo oscuro della casa: il buio era decisamente preferibile a tutta quella violenza. I suoi occhietti color topazio, estremamente espressivi ed intelligenti, osservavano però tutto ciò che accadeva intorno a lei, percepivano ogni mutamento e registravano tutto ed appena le sue piccole gambe erano state abbastanza forti per scappare, si era trovata un rifugio sicuro ed abbastanza caldo anche in inverno: la legnaia situata proprio dietro la parete della cucina dove era collocato il camino. Non la preoccupava, infastidiva o spaventava nemmeno la presenza dei topi!

Quando erano arrivati i fratelli, prima Mirko poi, dopo sei anni i gemelli Lorenzo e Nadia, quindi due anni dopo ancora la piccola Katia, Sabrina aveva imparato presto a far loro da madre, autonominandosi protettrice e responsabile della loro incolumità, fin troppo spesso minacciata e violata. Cercava di tenere in ordine le tre stanzette, almeno fino a quando i genitori non tornavano a casa dal loro imprecisato vagabondare ed iniziavano ad insultarsi, picchiarsi a sangue e a lanciarsi addosso le poche suppellettili. Sabrina prendeva per mano i fratelli più grandi ed in braccio le sorelline e li guidava verso la legnaia.

Non sempre però era riuscita ad evitare che la violenza degli adulti, magari sprovvisti di soldi e quindi in astinenza da alcool, venisse riversata senza rimorsi sui bambini, sfogando così l’incapacità di vivere in una violenza cieca, perciò pericolosa, e Sabrina aveva cercato di sottrarre il più possibile i piccoli e se stessa a quelle furie. Spesso suo padre urlava loro ed alla moglie delle parole orribili, di cui la primogenita non aveva compreso il significato finché non aveva iniziato ad andare a scuola. Chiamava i figli bastardi, la moglie puttana ed i compagni di classe, con la schietta brutalità dei bambini, le avevano gridato il senso di quegli improperi e Sabrina aveva imparato a difendersi anche da loro.

Quattordici anni era durata quella tortura familiare, la sofferenza, la rabbia, la lotta costante e quotidiana contro tutti ma soprattutto contro Fausto e Maria Corsetti. Era durata fino a quando Sabrina aveva deciso che era troppo e che avevano sopportato oltre ogni limite e che, per il bene dei suoi fratelli, doveva ribellarsi.

Quella sera suo padre aveva alzato le mani su Mirko, colpevole di non essere riuscito a procurargli in paese qualcosa da bere, naturalmente e credito. Il ragazzino, riverso sulle ginocchia del padre, subiva le botte stringendo eroicamente i denti per sopportare meglio il dolore e l’ira per quella vergognosa umiliazione: era ben deciso a non dargli la soddisfazione di vederlo piangere.

- Lascialo andare, subito! – Sabrina stava ferma sulla porta della camera da letto con i fratelli più piccoli nascosti dietro di lei – Lascialo ho detto! – aveva replicato stizzita.

- Altrimenti che mi fai? – l’aveva schernita il padre.

“Ti odio ma non meriti che ti dica nemmeno questo!” aveva pensato lei.

Lui era rimasto con la mano ferma a mezz’aria, la bocca aperta per lo stupore mentre la figlia gli rispondeva decisa e sicura.

- Ti ucciderò! –

Il gelo nello sguardo di lei gli aveva fatto comprendere, senza ombra di dubbio, d’avere di fronte una sconosciuta che sosteneva con fermezza il suo sguardo, dimostrandogli chiaramente di non provare alcun timore, convincendolo a desistere nella violenza.

- Saresti capace di farlo! – ma era più una preoccupazione rivolta a se stesso – Comunque non la passerai liscia. Domani ve la farò pagare cara a tutti quanti. Adesso a letto! – aveva ordinato cercando di recuperare la credibilità e l’autorevolezza di capo famiglia, seriamente minacciate da una mocciosa.

“Non ci sarà un domani in comune!” aveva pensato Sabrina mentre allacciava le stringhe del suo unico paio di scarpe.

I fratelli dormivano ancora e fuori il cielo era avvolto nell’oscurità della notte. Si era avvicinata al letto di Mirko e l’aveva scosso decisa.

- Cosa c’è? È già ora di alzarsi? – le aveva chiesto assonnato.

- Non parlare ad alta voce! Come stai? – gli aveva domandato affettuosa.

- Abbastanza bene, credo, anche se sono molto arrabbiato! Non gli permetterò più di picchiarmi e neanche la mamma dovrà farlo! Tu, piuttosto, sei stata davvero forte nell’affrontarlo ma, ora dovrai stare molto attenta, dopo ciò che gli hai detto – l’aveva avvertita.

- Non dovremo più preoccuparci di loro invece, perché ce ne andiamo e subito! Véstiti e poi aiutami con i bambini. Dobbiamo fare piano! – l’aveva esortato Sabrina.

- Ce ne andiamo? E dove? –

- Qualsiasi posto sarà migliore di questo, qualsiasi vita preferibile a questa ma io ti giuro, Mirko Corsetti, che un giorno avremo tanto di quel denaro che non sapremo come spenderlo, una bella casa, auto, vestiti eleganti. Non faremo più la fame e la gente ci rispetterà! Saremo una famiglia felice! – aveva risposto la ragazzina con voce sommessa ma sicura.

Avevano preparato i fratellini assonnati e raccolto le loro poche cose nelle cartelle di scuola, tutti con cautela e senza quasi un rumore. Quando si erano ritrovati fuori di casa, si erano lanciati in una corsa sfrenata, fino a quando il fiato aveva retto, quindi si erano fermati per riposare e decidere quale direzione scegliere.

- Da che parte andiamo? Hai un’idea di dove vuoi portarci? – le aveva chiesto preoccupato Mirko; Sabrina non aveva risposto ma si era limitata a tirar fuori una vecchia cartina geografica.

- Andiamo dal nonno? – le aveva domandato Lorenzo al quale piaceva giocare nel fienile con il vecchio cane, ma la sorella lo aveva deluso.

- No, andremo molto più lontano! –

- Quando torneremo? – aveva chiesto Nadia.

- Non torneremo mai più! – era stata la risposta della sorella maggiore che aveva continuato ad osservare attentamente la cartina.

- Non vedremo più mamma e papà? – aveva proseguito il gemello.

- No, ti dispiace? Dispiace a qualcuno? Ditelo tranquillamente e vi riporto a casa! – li esortati, ma loro, in coro, avevano risposto no. Erano rimasti in silenzio per un po’ mentre la sorella continuava a scrutare la cartina alla luce di una vecchia torcia, per fortuna la luna splendeva alta nel cielo, rendendo il buio meno insidioso e spaventoso, anche se qualche rumore improvviso, rompeva il silenzio facendoli sobbalzare.

- A me piacerebbe vivere in una grande città come Milano! – aveva osservato Mirko, tanto per dire qualcosa.

- Anche a me ma dobbiamo essere realistici perciò, dobbiamo raggiungere Firenze. Sarà sufficientemente grande! – aveva risposto Sabrina.

- Come ci arriviamo? – aveva continuato il fratello.

- Usando le gambe e il cervello –

- Come vivremo? – era un vero e proprio interrogatorio da parte dei fratelli, ma con loro Sabrina era sempre stata paziente e sincera.

- Anche per questo dovremo ingegnarci e poi, abbiamo questi! – aveva risposto tirando fuori un fazzoletto che racchiudeva un piccolo gruzzolo.

- Dove li hai presi? – le avevano chiesto in coro strabiliati.

- Ho fatto qualche lavoretto di nascosto, perciò la maggior parte sono miei, mentre il resto proviene dalla vecchia caffettiera. Diciamo che è un piccolo risarcimento delle pene fisiche e morali che loro ci hanno inflitto da quando siamo nati e se la sono cavata davvero con poco. Faranno a meno di bere per qualche giorno. Occupiamoci di altro. Dobbiamo organizzarci! Viaggeremo a piedi. È distante ma ce la faremo. Dovremo cercare di non utilizzare questo denaro il più a lungo possibile e dovremo stare attenti a non dare nell’occhio, evitando domande che potrebbero farci scoprire. Non dovrebbero esserci problemi durante il viaggio, ce ne saranno invece in futuro, perciò dovremo inventarci una storia credibile e nei prossimi giorni avrò tutto il tempo per pensarci. A questo serve il cervello e dovremo usarlo bene, perché il nostro avvenire dipende da questo! – aveva spiegato la ragazzina e gli altri avevano annuito solidali.

Era iniziata così la loro grande avventura, la loro nuova vita, sempre meno Corsetti ed un po’ più Valentini. Di giorno viaggiavano costeggiando la linea ferroviaria che sapevano condurre a Firenze, di notte riposavano stretti gli uni agli altri, dove capitava, trovando ripari di fortuna, evitando il più possibile le abitazioni dove avrebbero rischiato domande indagatrici. Mangiavano ciò che la campagna rigogliosa offriva loro, riuscendo persino a procurarsi latte appena munto con le proprie mani, soprattutto per la piccola Katia.

Erano riusciti anche a guadagnare qualche soldo sbrigando qualche commissione o lavoretto, badando sempre a non mostrarsi tutti insieme per non destare sospetti, curiosità, attenzioni, nelle eventualità che qualcuno li cercasse, ma tutto era filato liscio fino in città. Ed eccola finalmente! Era l’alba di un nuovo giorno ed il cielo andava tingendosi lentamente dei colori dell’aurora.

Sabrina rifletteva mentre distribuiva la colazione ai fratelli, seduta su una panchina delle Cascine con Mirko, mentre i più piccoli correvano, si rotolavano sull’erba: meditava sul da farsi.

- E adesso? – lui le aveva chiesto preoccupato.

- Dobbiamo trovare un posto decente dove vivere ed un lavoro per mantenerci- gli aveva risposto – dobbiamo recarci nei quartieri dei ricchi dove, forse troveremo qualcosa da fare come domestici –

Avevano chiesto informazioni a tal riguardo ad un loquace netturbino, il quale aveva consigliato la collina fiesolana, dove avrebbero trovato belle e grandi villi signorili.

Si erano incamminati di nuovo, ma questa volta avevano accettato anche il generoso passaggio di un omone dall’espressione bonaria che, strada facendo, gli aveva indicato le proprietà più ricche. Ad un tratto Sabrina aveva chiesto di fermare e l’uomo aveva accostato in prossimità di una curva, in uno spiazzo, dal quale si poteva dominare la città da un fantastico panorama, sul quale si affacciava una splendida villa, circondata da un parco molto grande, terminante in un boschetto di piante d’alto fusto.

Un alto cancello ne delimitava l’ingresso ed un uomo si affaccendava, spazzando le foglie all’interno. Sabrina aveva ringraziato il conducente del furgoncino e poi, una volta di nuovo soli, si era rivolta ai fratelli.

- Siamo arrivati!  Se tutto andrà bene, qui troverò un lavoro ed una casa per voi perché, è proprio in un posto come questo che ho sempre sognato di vivere!-

- Ma come faremo a farci accettare tutti e cinque? Loro tre sono ancora dei bambini e se non ne volessero? – Mirko era, indubbiamente, molto giovane ma già dimostrava quel senso pratico che lo avrebbe sempre contraddistinto.

- E’ questa la parte più difficile! – aveva risposto Sabrina guardandosi intorno, poi aveva indicato loro una stradina sterrata che fiancheggiava il muro di cinta – Vediamo dove conduce! –

Avevano camminato per un buon quarto d’ora senza scoprire nulla di interessante, mentre i tre piccolini si rincorrevano e si nascondevano, in perenne movimento, felici e spensierati finché il grido di spavento di Nadia aveva fatto accorrere anche i più grandi.

- Cosa c’è? Dov’è Lorenzo? – avevano chiesto all’unisono, mentre la gemellina indicava il muro. Il capo biondo del bambino era sbucato dalla fitta vegetazione che ricopriva in parte le pietre sbrecciate, consunte dal tempo e dagli elementi.

- Sono qui. Ho trovato un passaggio segreto – aveva risposto con aria cospiratrice.

I fratelli maggiori si erano precipitati ed avevano scoperto che il piccolo aveva proprio ragione: la vegetazione nascondeva un vecchio cancello arrugginito, del quale probabilmente, si era persa memoria, che con un piccolo sforzo di tutti, si era aperto lo stretto necessario per lasciarli passare e si erano ritrovati nel boschetto sul retro della villa. Si erano guardati intorno poi, con estrema cautela, avevano mosso qualche passo perlustrando l’ambiente sconosciuto ed infine avevano scorto una costruzione, in una piccola radura fra gli alberi. La prudenza era diventata ancora maggiore mentre Mirko, per senso di responsabilità considerandosi l’uomo della famiglia ed ammantandosi di un coraggio che, in realtà, era ben lontano dal provare, si era mosso cautamente in avanscoperta per accertare la presenza o meno di esseri viventi, umani o animali: per la loro paura non faceva molta differenza! Con sollievo per l’incolumità della famiglia, lo avevano visto gesticolare invitandoli a raggiungerlo, cosa che avevano fatto di corsa. Con orgoglio il ragazzino aveva mostrato loro quello che altro non era se non un piccolo casino di caccia, molto semplice e di poche pretese, formato da una stanza con funzione di soggiorno con un bel camino, un tavolo, delle sedie, persino delle vecchie poltrone ed un tappeto liso, una madia ed una vetrina con piatti, bicchieri, posate e biancheria da cucina, tutto ricoperto da un notevole strato di polvere e ragnatele ma utilizzabile. La cucina era piccola ma funzionale, con stufa a legna, pentole, casseruole ed una porta che li aveva condotti alle camere da letto. Erano due dotate di un letto matrimoniale completo di materasso che necessitava di una energica battuta con il battipanni. C’erano poi in ognuna un armadio con la biancheria necessaria, cassettoni e comodini. La luce funzionava perfettamente in ogni stanza e nel bagno, per il quale non occorreva nemmeno uscire di casa, c’erano tutte le comodità possibili, persino l’acqua corrente calda e fredda. Per loro, nati e vissuti in un sudicio tugurio, sembrava di essere entrati in una reggia.

- Finalmente una casa vera! – aveva esclamato Sabrina – dovremo darci da fare per ripulire tutto ma abbiamo una casa –

- Speriamo che ti prendano a lavorare! – aveva replicato Mirko preoccupato.

- Ci riuscirò! Adesso non resta che farmi assumere ma, se dovesse andare male, sfrutteremo questo posto finché non ne troveremo uno migliore. È abbastanza distante dalla villa perché non ci vedano e non ci sentano, ma dovremo essere comunque prudenti. Non dovremo scoprirci dal lato della casa padronale e non dovremo fare chiasso perché sarebbe molto rischioso. Non ne ho parlato fino ad oggi, ma ora è giunto il momento di spiegarvi quali potrebbero essere le conseguenze della nostra fuga. Oltre a correre il rischio di rimandarci a casa da quei due ubriaconi violenti, potrebbe accadere che ci spediscano in qualche istituto separandoci, finché non troveranno una famiglia che ci adotti, ma nessuno ci vorrà tutti e cinque perciò, non potremmo più vivere insieme e non potremmo vederci mai più. Se non vogliamo che ciò accada dovremo stare molto attenti, mi raccomando. Quando io sarò al lavoro, tu Mirko ti occuperai di loro tre, ma voi, anche se siete piccoli, dovrete comportarvi come bambini grandi. È molto importante che lo facciate! Avete capito? –

I fratellini avevano annuito all’unisono, spaventati dalle parole della sorella che aveva prospettato loro un futuro divisi.

- Come faremo per il cibo e per la scuola quando inizierà? – aveva chiesto Mirko.

- Per la scuola abbiamo ancora tempo per pensarci. Per mangiare invece c’è premura, perciò devo iniziare a darmi da fare! –

Si era alzata per recarsi alla villa ma prima aveva baciato ed accarezzato i fratelli, poi aveva rivolto loro un ultimo monito: - Mi raccomando a voi! Ora sapete i rischi, sappiate comportarvi di conseguenza. Ho fiducia in voi –

Era stato quello il giorno fatidico in cui era entrata per la prima volta nella stupenda villa che sarebbe divenuta la sua casa. Ricordava ogni sensazione provata non solo allora, ma ogni volta che scopriva una nuova stanza, un angolo pittoresco e suggestivo, o passava per i corridoi silenziosi, entrava in uno di quei grandi ambienti dai soffitti alti. Era una semplice domestica, l’ultima arrivata, la più giovane e riservata, una ragazzina di campagna mal in arnese, piuttosto diffidente e solitaria, che non legava affatto con il resto della servitù che aveva finito per ignorarla. Stranamente Sabrina era riuscita, fin dal primo istante in cui si erano conosciute, a riscuotere le simpatie della padrona di casa.

Emma Valentini era una dolce signora di mezza età, media statura, un fisico appesantito da qualche chilo di troppo, spesso sofferente alla schiena che le procurava tali dolori da costringerla spesso a letto. La ragazzina aveva iniziato per caso a massaggiare le parti dolenti della signora che, aveva scoperto di aver trovato un vero toccasana in quelle giovani mani, sempre in movimento, dalle dita affusolate e la simpatia immediata si era trasformata ben presto in riconoscenza ed affetto.

L’attraevano lo sguardo serio e compassato, sempre triste, l’aria misteriosa e quella riservatezza che resisteva ad ogni tentativo di indagine: non c’era alcun modo, nonostante le molte insistenze, di carpirle la benché minima informazione in più al fatto che fosse orfana. Era diventato una specie di gioco al quale avevano partecipato in molti: chi, come la signora Emma, per affettuosa curiosità o per aiutarla; chi, come la governante, per cattiveria e gelosia. L’unico a restarne fuori era l’indaffaratissimo Agostino Valentini. Dal suo metro e ottanta centimetri di altezza leggermente incurvata, dirigeva abilmente l’attività dell’azienda di famiglia, la sua era la seconda generazione ad occuparsene, impegnata nella creazione e produzione di gioielli di alta oreficeria. Si disinteressava completamente della casa e dei relativi problemi, per i quali c’era sua moglie e per la quale era l’unico ed esclusivo compito, non avendo avuto figli. Per la signora Emma aveva un’attenzione affettuosa e gentile, quasi protettiva, che riusciva a far scomparire quell’espressione severa, a volte burbera.

Il dolce ricordo dei coniugi Valentini era sfociato in un sorriso triste e Sabrina lasciò libera la mente, che venne sopraffatta dalle rimembranze del cuore. Ascoltò di nuovo le voci lontane dei suoi cari, i suoni, le risa, la vita che tante giovani esistenze avevano portato in quella bella casa, ma quanta paura all’inizio! Ravviandosi i capelli era uscita dal soggiorno, per salire in camera. Si chiuse lentamente la porta alle spalle, quindi iniziò a prepararsi un bagno profumato e rilassante, ed una volta in vasca, tranquillamente distesa, i ricordi tornarono ad insinuarsi lentamente.

Quanto era durato il segreto dei fratelli Corsetti? Non abbastanza a lungo, a dire il vero. Se la buona signora Emma era semplicemente curiosa, convinta che un grande dolore affiggesse la sua giovane cameriera e pertanto il suo scopo di farla parlare mirava semplicemente a recarle conforto ed affetto, pre la governante, signora Mainardi da quindici anni incontrastata dominatrice di casa Valentini ed unica confidente della padrona, la presenza della ragazzina rappresentava un serio pericolo per il suo incontrastato dominio. Doveva scoprire assolutamente cosa nascondesse la piccola intrigante e doveva trattarsi di qualcosa di losco, ne era certa! Aveva iniziato così a spiarla ogni volta che le era possibile e,  quando gli impegni di lavoro glielo impedivano, aveva incaricato il più giovane dei giardinieri, un ragazzo ventenne con poca voglia di lavorare. Sabrina però non era una sprovveduta ed il suo sviluppatissimo sesto senso aveva captato subito l’ostilità della Mainardi, malcelata dietro sorrisi di indifferenza: gli occhi freddi, glaciali della donna parlavano da soli. Stava sempre molto attenta a non irritarla eseguendo ogni mansione con precisione e puntualità, ma le occupazioni che preferiva erano quelle che svolgeva per la buona signora Emma.

Ascoltava le sue confidenze, curava i suoi dolori di schiena, l’accompagnava nelle sue passeggiate in giardino, le leggeva libri o riviste ed in cambio riceveva affetto, tanti utili insegnamenti che non riuscivano a saziare la sua sete di sapere e molti regali. La signora aveva iniziato con abiti smessi ma di ottima qualità, da riadattare e la ragazzina aveva imparato presto dalla cuoca, una bonaria donnona dalla parlantina sciolta, ad usare con crescente abilità ago, filo e forbici, lavori che compiva alacremente, anche fino a notte inoltrata, nella cucina del casino di caccia, mentre i fratelli dormivano. La sua cara benefattrice era poi passata a piccole somme di denaro, che la giovane cameriera riponeva meticolosamente in un luogo sicuro, quindi aveva dato disposizioni a governante e cuoca affinché le fosse permesso di prelevare dalla cucina e dalla dispensa tutto ciò che le occorreva. L’unica cosa che la signora non gradiva era privarsi della compagnia della sua nuova dipendente tanto che, dopo solo due mesi di servizio, l’aveva promossa cameriera personale a tempo pieno e senza giorno di libertà.

Sabrina aveva accettato purché le fosse permesso, nelle ore in cui la signora riposava, di fare ciò che più le piaceva, senza costrizioni, controlli o limitazioni e così avvenne. Al mattino presta arrivava in villa, riempiva un cesto di provviste e ripartiva per tornare a casa: usciva dal cancello e si incamminava rapida lungo la strada principale con aria tranquilla, ma in realtà si guardava intorno attentamente le spalle col timore di essere seguita. Aveva scoperto un altro sentiero che conduceva alla porticina nel muro di recinzione e quindi al casino di caccia nel bosco, una strada decisamente più sicura, in direzione di Fiesole, caratterizzata da un rettilineo lungo il quale poteva distanziare un eventuale inseguitore, costretto a starle a distanza per non farsi scoprire, e da una serie di curve che le consentivano di far sparire ogni traccia di sé. In realtà a Sabrina era sufficiente la seconda curva, era da lì infatti che partiva una mulattiera, in quel periodo nascosta da vegetazione fiorente che, attraverso i campi, la conduceva all’accesso segreto. Raggiungeva così i fratelli ogni mattina. Li svegliava preparando la colazione che consumavano insieme allegramente, riponeva le provviste, mostrava i vestiti che aveva confezionato, li ascoltava, li consolava e gli dimostrava tutto il suo affetto, passavano quindi a far progetti per il futuro.

Si avvicinava intanto la riapertura delle scuole e Mirko le chiedeva spesso come avrebbero potuto organizzare la loro iscrizione al nuovo anno scolastico. Non si preoccupava tanto per sé, che dall’alto dei suoi dodici anni, poteva anche smettere di studiare, quanto per i gemelli che avrebbero dovuto  iniziare la prima elementare, ma Sabrina era irremovibile: sarebbero andati tutti e tre a scuola. Non sapeva ancora come, ma doveva essere così! Già, ma era facile a dirsi e difficile a farsi. Il problema l’angustiava non poco e si arrovellava per studiare le possibili soluzioni. Non avevano documenti da esibire ed anche se avesse dichiarato che erano orfani, chi le garantiva che le autorità le avrebbero permesso di tenere unita la famiglia? Certo, lei poteva contare su di un lavoro che le permetteva di mantenerli decorosamente ed aveva trovato una bella casa dove avrebbero potuto vivere sereni, ma gli avrebbero permesso di continuare ad usarla una volta scoperti? E poi con Mirko ed i gemelli a scuola, chi si sarebbe occupato di Katia? Senza dimenticare poi che erano tutti minorenni. C’era una sola soluzione possibile, anche se si trattava di ricorrere all’aiuto degli adulti: parlare con la signora Emma. Doveva confidarsi con lei e sperare nella buona stella che le aveva permesso di accattivarsi le sue simpatie, chiederle l’aiuto e la protezione necessari che le permettessero di mantenere unita la sua famiglia, l’unica cosa veramente importante. Doveva parlarne con i fratelli naturalmente e lo avrebbe fatto al più presto, anzi fin da quel mattino, ma le apparvero così spaventati del pericolo di venire separati rivelando la loro presenza, che decise di lasciargli un giorno di tempo per riflettere sulla sua proposta.

Le preoccupazioni per il loro futuro le avevano fatto trascurare l’abituale prudenza nel recarsi nel bosco e la spia della Mainardi li aveva scoperti ed era corsa a rivelarle la grande scoperta, ma la governante avida di saperne di più, aveva atteso troppo per informare la signora Valentini che nel frattempo era caduta malata, colpita da una leggere influenza che, per la sua proverbiale ipocondria, era un malanno terribile. Naturalmente accanto a sé voleva solo la sua cameriera personale ed il marito: era ovvio che ogni problema era rinviato a dopo la guarigione. Sabrina aveva rimesso in sesto la sua benefattrice in tre giorni, ma la signora aveva preferito trattenersi a letto ancora un giorno e ciò aveva permesso alla ragazza di confidarle i suoi problemi.

Un lieve brivido la riscosse dai pensieri, ricordandole dove si trovasse e cosa stesse facendo. L’acqua del bagno si stava freddando, perciò uscì dalla vasca, si avvolse in un morbido, grande e profumato asciugamano che assorbì tutta l’umidità. Con abilità ne avvolse un altro a turbante sui capelli morbidi, si sedette alla toilette ed il suo sguardo si soffermò sul suo viso riflesso nello specchio, ancora bello e ben curato, ne era soddisfatta. Aveva sempre tenuto molto al proprio aspetto esteriore, preoccupandosi del suo fisico che fortunatamente non le aveva mai dato grossi problemi, godendo sempre di un’ottima salute e curato l’abbigliamento, sempre molto raffinato, che aveva fatto di lei una delle donne più eleganti del mondo. Ciò che però gli altri, gli estranei che la invidiavano e le chiedevano quale fosse il suo segreto, non riuscivano a comprendere era che la sua forma perfetta era dovuta soprattutto ad un perfetto stato mentale, che lei manteneva attivo, fertile e scattante occupandosi ancora di molteplici interessi e nutrendolo soddisfacendo una voglia di sapere che non le era mai venuta meno. Sorrise lentamente ricordando che erano stati proprio i Valentini a guidarla con saggezza per tanto tempo, ma quante paure e quanti dubbi all’inizio! Ed i ricordi tornarono a  turbinare nella sua mente e lei non cercò nemmeno di respingerli.

Quello era stato un giorno decisivo per la loro vita, forse il più importante di tutti. Aveva chiesto alla signora Emma di non rivelare ad alcuno, eccetto il marito, quanto stava per rivelarle e solo dopo aver ottenuto la promessa aveva raccontato tutto.

Sabrina sospirò al ricordo: le era costato uno sforzo enorme confessare quattordici anni di sacrifici e sofferenze, ma non perché temesse di non venir compresa o di un giudizio negativo, ma solo per il dolore, sempre vivo, presente nonostante le lotte per sopraffarlo, per dimenticarlo.

“Fa ancora male!” pensò cupamente e continuò a ricordare quel giorno lontano, le lacrime della buona e generosa signora Emma, la sua commozione ed il profondo turbamento le trasparivano dal bel volto, appena un po’ increspato dalle rughe, ma dalla pelle vellutata. La prima sensazione che ricordava di aver provato era stupore: non aveva mai incontrato qualcuno che mostrasse di provare un sentimento positivo e così intenso per lei!

- Povera piccola cara, quanto hai sofferto nella tua giovane vita! Ed i tuoi fratellini?! Povere piccole creature innocenti! Vittime di genitori simili! Ma adesso basta! Le vostre sofferenze sono finite! Penseremo noi a voi, è una promessa quella che vi faccio! – aveva esordito appena le lacrime lo avevano permesso. Era diventata all’improvviso più decisa, più ferma, sicura ed una smorfia di disprezzo le si era dipinta sul volto gentile pensando ai coniugi Corsetti, ma Sabrina si preoccupava di ciò che avrebbe detto, ma soprattutto fatto, il signor Agostino. Aveva dato voce ai suoi timori incoraggiata dalla reazione positiva della sua benefattrice che si era poi affrettata a rassicurarla.

- Non devi preoccuparti di questo. Vedi, mio marito sotto la sua aria severa, austera, nasconde un cuore d’oro. È molto generoso, buono, gentile ed anche allegro, almeno una volta lo era –

- Cosa è accaduto poi, se mi è permesso chiederlo? – la signora Emma aveva chinato il capo rattristata al ricordo.

- Non abbiamo avuto i bambini che desideravamo tanto. Ho avuto diverse gravidanze, ma non le ho mai portate a termine purtroppo. Siamo soli, due anziani solitari dei quali nessuno si preoccupa. Agostino desiderava tanto un figlio al quale lasciare la sua azienda, che ne seguisse le orme, che si prendesse cura di colui che, di noi due, dovesse vivere più a lungo dell’altro e questo è il suo tormento maggiore. Ha paura di morire e lasciarmi sola, senza una persona affettuosa che si occupi di me! – le aveva spiegato mestamente.

- Non c’è proprio nessuno? Neanche un lontano parente? – le aveva chiesto a sua volta addolorata per la sua buona signora.

- Ci sarebbe una nipote, ma non la vediamo da anni! – aveva risposto l’altra riflettendo – Ma torniamo a noi. Non devi preoccuparti, Agostino è un uomo buono e generoso. Non temere, ti aiuterà. Gli parlerò subito, piuttosto non vedo l’ora di conoscere i tuoi fratellini. Parlami di loro, ti prego! –

Sabrina non se lo era fatto ripetere due volte ed il suo viso si era finalmente disteso in un sorriso, mentre i suoi occhi esprimevano tutto l’amore di cui era capace nei confronti dei “suoi” bambini. La signora pendeva dalle sue labbra ed ascoltava deliziata le descrizioni che la ragazza le faceva, per poi finire per esortarla a portarle i quattro fratellini.

- Dato che sta molto meglio, perché non si alza e li raggiungiamo nel bosco? L’aria fresca e pulita le farà bene – le aveva proposto e la signora Emma aveva accettato senza indugi e senza preoccuparsi minimamente della propria salute, fino ad un momento prima  decisamente “precaria”. Aveva quindi annunciato alla signora Mainardi che sarebbe uscita per una passeggiata con la sua cameriera e la governante, osservandole mentre si allontanavano, aveva commentato rivolta al giovane giardiniere: - Scommettiamo che non la guiderà verso il casino di caccia? – ed il ragazzo aveva annuito con un ghigno cattivo, ma si sbagliavano. Eccome se si sbagliavano!

Sabrina si adagiò contro la spalliera della poltroncina, nella sua camera da letto dai tenui color pastello, dimentica di tutto, troppo presa a ricordare quell’incontro, il primo fra i suoi fratelli e la sua benefattrice, lo stupore dei ragazzi, forse ancora un po’ spaventati, di sicuro preoccupati e la commozione della signora che avrebbe voluto stringerli fin da subito fra le braccia. Era riuscita invece a controllarsi, ad entrare in casa dove era rimasta meravigliata per l’ordine, la pulizia e, quando aveva realizzato che tutto ciò era opera di quei bambini, lo stupore si era trasformato in un’ammirazione senza limiti, non riusciva a crederlo.

- E’ bellissimo qui, ma siete stati davvero voi? – i ragazzini avevano annuito e Mirko le aveva spiegato come era stato possibile tutto ciò, di come avevano tolto tutta la polvere, lavato ogni cosa, battuto materassi e tappeti, tutti insieme. Più il ragazzo parlava, più Emma si convinceva della sua serietà, della sua maturità. Osservava anche gli altri bambini che lentamente iniziavano a lasciarsi andare, sotto lo sguardo orgoglioso della sorella maggiore.

Lorenzo e Nadia erano vivaci, allegri, due visetti così simili, incorniciati da folti e ricci capelli biondi; Katia era invece un piccolo angelo dai capelli rossi, dai lineamenti delicati, una bimba quieta e timida che si stringeva ai fratelli maggiori, od abbracciava e baciava i gemelli con trasporto ed affetto profondi. La dolce signora non si stancava di ascoltarli anzi, si divertiva moltissimo e non vedeva l’ora di condividere col marito la gaiezza, la tenerezza e la simpatia di quella famigliola, quindi non aveva posto in mezzo indugi ulteriori, né più tempo del necessario.

Agostino aveva appena varcato la soglia della sala da pranzo, che la moglie l’aveva pregato di seguirla nello studio per una questione delicata. La signora Mainardi li aveva incontrati nel corridoio del piano terra ed aveva richiesto un incontro urgente per  parlare di una questione di estrema importanza, ma Emma l’aveva allontanata prontamente e con un piglio che, da tempo, non le vedevano.

- Non ora! Abbiamo cose più urgenti! Ne riparleremo questa sera! – ed aveva chiuso decisa la porta dello studio.

Con precisione, chiarezza e tantissimo entusiasmo aveva raccontato tutto al marito che, con stupore crescente l’aveva ascoltato attento. Era ancora un bell’uomo, Agostino Valentini, nonostante gli anni, gli acciacchi inevitabili e la tristezza dello sguardo profondo, intenso ed espressivo. Un passato da sportivo praticante gli permetteva di conservare un fisico muscoloso, anche se un po’ appesantito, la pelle delle mani forti e del viso ovale si era raggrinzita ma conservava un colorito abbronzato naturalmente, che risaltava ancora di più grazie ai capelli candidi cortissimi. I suoi grandi occhi avevano osservato attenti la moglie che raccontava, con grande entusiasmo, la storia incredibile di quei cinque ragazzini.

- … e pensa, hanno provveduto a sistemare il casino di caccia e vi hanno vissuto da soli per più di due mesi! Il maggiore dei maschietti si occupa della casa e dei fratellini come un adulto ed ha solo dodici anni! – aveva concluso con vigore.

- Ti hanno conquistata completamente – aveva osservato pensieroso.

- Ah, se tu li vedessi caro! I gemelli sono l’energia, la vitalità fatte persona. All’opposto Mirko è serio, maturo e responsabile. E la piccolina? È la tenerezza, la dolcezza. È bellissima, da stringere fra le braccia e coccolare. Sabrina li ama immensamente, sono tutto per lei e sono sicura che ha lottato tanto nelle sua giovane vita, per difenderli –

Agostino aveva taciuto, una piega gli aveva increspato la fronte ma sua moglie non avrebbe saputo dire a cosa stesse pensando, quali pensieri gli attraversassero la mente.

- Cosa vorresti che io facessi? – le aveva chiesto infine.

- Sai bene quanto mi sia affezionata a quella ragazza. Avevo intuito, fin dall’inizio, che vi era una grande sofferenza nella sua esistenza, so con assoluta certezza che, se circondata dall’affetto di persone giuste ed oneste come noi, potrà superare il suo difficile passato e trovare la serenità. Così potrà essere anche per i suoi fratelli. Del resto anche a noi farebbe bene avere tanta gioventù in casa, capace di darci nuove vitalità, gioia, compagnia e, se siamo fortunati come spero, anche molto affetto. Abbiamo tanto desiderato un figlio senza riuscire a metterlo al mondo, forse era destino che non accadesse, come lo sono questi cinque bambini che, fra le tante famiglie al mondo, sono capitati proprio nella nostra … -

Si era interrotta per scrutare l’espressione sul volto accigliato del marito, quindi aveva pronunciato le parole fatidiche: - Voglio adottarli, Agostino! –

Lui se l’era aspettato, lo aveva capito fin dall’inizio, dal suo entusiasmo, dalla luce che aveva visto brillare in quei suoi occhi neri bellissimi che, un tempo oramai lontano, lo avevano fatto innamorare perdutamente e che, da troppo tempo non brillavano più. Si era alzato e girato verso la finestra, si era messo a scrutare al di là delle tende vaporose, nel giardino curato ed oltre, fino al boschetto che aveva celato il segreto di Sabrina e dei suoi fratelli. Sabrina! Aveva avuto modo di osservarla attentamente, sempre ligia al dovere, mai un’esitazione, un mugugno e sempre quell’espressione severa, così poco usuale in una ragazzina della sua età ed ora ne comprendeva il motivo: si era assunta una grande responsabilità scappando con quattro bambini così piccoli! Ora riusciva a spiegarsi molte cose che aveva udito sussurrare dalla servitù, come quell’arrivare all’alba in villa riempire un cesto di vivande e ripartire rapida, al ritorno il cestino era immancabilmente vuoto, o quel cucire in ogni momento libero vestiti e pantaloni di taglie più piccole della sua. Aveva persino dubitato di lei, pensando che stesse approfittando del buon cuore dei Emma con chissà quali secondi fini, ma non lo aveva creduto veramente fino in fondo: quello sguardo severe ed orgoglioso gli diceva che stava sbagliando.

Sua moglie stava pazientemente aspettando una sua reazione ed era sicuro che stesse trepidando per quel prolungato silenzio. Cosa doveva dirle? Qual’era la decisione più giusta? Quella dettata dalla razionalità che lo poneva di fronte alla scelta di dover o meno dare fiducia a degli estranei, o all’impulso del cuore che gli diceva che finalmente poteva avere dei figli? Un figlio! Lo aveva desiderato così intensamente ma non era venuto ed ogni aborto, ogni occasione perduta, gli aveva strappato un pezzo di cuore, un po’ di vita, tanti sogni ed ora c’erano questi cinque ragazzini, chissà perché capitati proprio lì. Già, chissà per quale motivo? Forse aveva ragione la sua dolce Emma: era davvero il Destino ad averli scelti? Se no, cos’altro?

Non conosceva le risposte, ma avvertiva come una sensazione di pace nel pensare a loro e la mente gli riportava un po’ di quei sogni perduti.

- Chiamo subito Giuseppe. Lui ci consiglierà la via legale più appropriata da seguire per l’adozione. Tu, intanto, perché non vai a chiamare la tua protetta-

Emma aveva sorriso felice, si era alzata per raggiungere rapidamente la porta e seguire il suggerimento del marito, ma poi un pensiero improvviso l’aveva fatta tornare indietro: aveva abbracciato e baciato il suo Agostino con lo slancio di un tempo.

Sabrina sorrise con affetto al ricordo di lui ed a quell’incontro fatidico.

Stava riattaccando la cornetta del telefono e l’aveva osservata bene mentre si avvicinavano e si sedevano di fronte alla scrivania. Quanti dubbi nelle loro menti mentre si studiavano a vicenda! Se solo avessero saputo di quanto affetto entrambi sarebbero stati capaci di provare l’uno per l’altra, che padre e figlia meravigliosi sarebbero diventati, avrebbero aperto le braccia per accogliersi in un tenero ed amorevole abbraccio.

Stavano invece occupando quel silenzio per leggersi negli occhi, per scoprire di piacersi e la fiducia aveva fatto capolino, iniziando a sbaragliare il campo dalle preoccupazioni e dai timori.

- Ho parlato con l’avvocato. Verrà qui questa sera, dopo cena, per parlare con tutti noi e rendersi conto di persona della situazione – aveva esordito il signor Agostino – Vorrà sapere tutta la storia, soprattutto tutto ciò che riguarda i tuoi genitori, anche le cose meno piacevoli –

Sabrina aveva annuito e promesso: - Lo farò! –

- Bene. Nel frattempo penso proprio che dovremmo recarci al casino di caccia. Spero vogliate farmi conoscere il resto della famiglia! – aveva proposto sorridendo ed Emma felice era corsa a cambiarsi, seguita dalla ragazza, ma sua marito non era rimasto solo a lungo perché la Mainardi, ancora irritata per essere stata  brutalmente messa alla porta, attendeva l’occasione per entrare in scena.

- E’ permesso? Mi scusi signor Valentini, ma dovrei parlarle di una questione gravissima! –

- Si accomodi pure, ma sia rapida, perché devo uscire – l’aveva invitata – qual’è il problema? –

- Ho la certezza che la fiducia sua e della signora è tradita da una persona, che dovrebbe provare solo riconoscenza per la bontà con la quale è stata accolta in questa casa onorata – aveva esordito drammaticamente, destando l’attenzione dell’altro che l’aveva subito pregata di proseguire e lei, certa di avere Sabrina in pugno, aveva raccontato tutto ciò che aveva scoperto, prodigandosi in particolari dettagliati e coloriti più del necessario. Con notevole sorpresa, il signor Agostino aveva mutato espressione, non sembrava nemmeno sorpreso e tanto meno arrabbiato, ma ciò che le stava per dire l’avrebbe lasciata senza parole.

- Sappiamo perfettamente dell’esistenza di quei bambini, perché sono nostri ospiti anzi, da questa sera si trasferiranno alla villa –

- Vostri ospiti!?!? Perché nessuno ne è stato informato allora? E tutto questo mistero da parte di quella ragazza nel recarsi a trovare i fratelli, percorrendo sentieri nascosti anziché il parco? E … - ma lui l’aveva fatta tacere con un gesto imperioso della mano.

- Non era necessario informarvi, perché Sabrina provvedeva personalmente ai bambini. Per quale motivo, altrimenti le avremmo permesso di usufruire della nostra dispensa liberamente? Per quanto riguarda poi le sue passeggiate, non vedo per quale motivo debba renderne conto a lei o a chiunque altro. Se proprio vogliamo esaminare un comportamento, vediamo il suo, signora. Questo suo intervento non è affatto di mio gradimento, perché assomiglia troppo al significato del verbo “spiare” e non tollererò che in futuro si ripeti! Torni al suo lavoro, signora Mainardi, e lasci a me le questioni che riguardano la mia famiglia! –

L’iniziale tono di cortesia si era trasformato in un duro, freddo monito con il quale la stava liquidando. Aveva commesso un passo falso, eppure non era pienamente convinta delle spiegazioni ricevute e non lo fu nemmeno dopo che i Corsetti si furono stabiliti in villa.

Il primo incontro di Agostino con i bambini era stato emozionante, almeno quanto quello avvenuto con la moglie, con un risvolto imprevisto in più: l’istintiva simpatia che la piccola Katia aveva mostrato immediatamente per lui. Si era avvicinata quieta, mentre Emma presentava Mirko al marito ed aveva attratto l’attenzione di quell’omone alto, tirandogli imperiosa i pantaloni. Lui aveva abbassato lo sguardo su di lei ed aveva incontrato un paio di fantastici occhi verdi, curiosi ed un visetto illuminato da un sorriso incantevole. L’aveva sollevata fra le braccia salutandola con un “ciao”, al quale lei aveva risposto arruffandogli i capelli bianchi con le morbide manine, gettando poi la testolina all’indietro in una risata argentina e contagiosa.

Agostino Valentini aveva mantenuto la sua promessa, aveva adottato i fratellini, li aveva iscritti a scuola, non senza qualche difficoltà. Era tornato dall’incontro con i coniugi Corsetti alquanto contrariato ed a quelli che erano seguiti, aveva preferito “disertare”, lasciando fare a Giuseppe Boccelli, il suo avvocato.

- Sono essere spregevoli! Li avessi sentiti come mercanteggiavano il futuro dei loro figli! – aveva raccontato a sua moglie, con disgusto, quell’incontro sconvolgente. Aveva descritto il luogo, non riusciva a chiamarlo casa, dove erano nati e cresciuti quei cinque bambini sfortunati. Emma lo ascoltava sgomenta, incredula, inorridita per poi sciogliersi in lacrime di dolore al pensiero dell’infanzia perduta dai suoi protetti. Per Sabrina invece, non c’erano stati pianti, ma solo una sorta di ribellione quando lui aveva tentato di sbrogliare il discorso con una scusa.

- Non ho parlato molto con loro. Ho dato mandato al mio legale di occuparsene! –

- Non credo che lei sia andato lì solo per vedere che faccia avessero o per ammirare il paesaggio. Lei ha voluto rendersi conto personalmente se ciò che noi ragazzi le avevamo raccontato fosse vero, ed è giusto. Non posso credere però che non abbia scambiato qualche parola con loro –

Era ben decisa, voleva sapere cosa era accaduto ed Agostino scoprì di non riuscire a mentirle. Le aveva così riferito il colloquio disgustoso intercorso soprattutto con suo padre: la mercificazione della loro adozione, recitando la commedia del genitore affettuoso addolorato per la perdita dei figli.

- Piuttosto che tornare da loro preferirei togliere la vita ai miei fratelli ed a me stessa e, se le autorità dovessero obbligarmi a farlo, farebbero di me una parricida! – erano state le dure parole della ragazzina ed Agostino era sicuro che non mentisse – creeranno problemi? –

- No, non credo! Basterà alzare il prezzo –

Avrebbe preferito non dirle questo perché, nonostante non lo desse a vedere, era sicuro che stesse soffrendo terribilmente.

“Ma quando questa faccenda dell’adozione sarà conclusa, per voi inizierà una nuova vita e vi prometto che farò tutto il possibile perché sia felice, serena!”

Lei lo stava osservando attentamente, come se potesse leggergli nella mente.

- Grazie per cercato di proteggermi, di non dirmi di questo vostro infelice incontro, ma io voglio sapere tutto, voglio sempre la verità perciò, la prego, non provi a mentirmi più. Non è necessario che i miei fratelli sappiano! Loro sono piccoli, vulnerabili, vanno difesi, ma io no. Questo è un patto fra noi due: sempre la verità, e solo la verità! –

- Come in tribunale! – aveva sorriso Agostino e lei aveva contraccambiato.

Si erano strette le mani ed i loro sguardi si erano scambiati una promessa alla quale non sarebbero mai venuti meno.

Quanto può valere la vita di un figlio? Per quanto, un genitore è disposto a vendere il suo futuro? Per molto meno di quanto i Corsetti avrebbero voluto e di quanto i Valentini sarebbero stati disposti a pagare e ciò grazie all’abilità dell’avvocato Giuseppe Bocelli, che aveva prospettato ai due sciagurati coniugi lo spettro della prigione per le percosse, le violenze che avevano “prodigato” a piene mani ai loro cinque figli. Il commento della loro primogenita era stato lapidario: avrebbe preferito vederli marcire in galera! Era iniziata così la loro nuova vita, un’esperienza tutta da scoprire sia per i ragazzi che per gli adulti, un sodalizio che, superate le inevitabili difficoltà iniziali, si sarebbe rivelato un successo.

Sabrina aveva mostrato subito il suo carattere deciso, molto determinato, la sua caparbietà ma anche un’intelligenza viva, una perspicacia ed un intuito notevolmente spiccati. Aveva rifiutato di riprendere gli studi, per poter lavorare nell’impresa dei Valentini, per poterli in qualche modo ricambiare dell’aiuto, dell’affetto, della fiducia che prodigavano a lei ma, soprattutto, ai suoi amatissimi fratelli. Non aveva voluto in alcun modo privilegi dalla sua nuova famiglia ed aveva iniziato la sua gavetta dal gradino più basso, in una scala gerarchica che avrebbe percorso fino in vetta, un passo alla volta, meritando ogni promozione.

I primi anni erano stati davvero intensi ma sereni. Agostino ed Emma amavano i cinque ragazzi come figli, avevano trovato uno scopo nella vita e gli dedicavano moltissimo del loro tempo. Lui insegnava a Sabrina tutto ciò che lei, insaziabile di sapere, gli chiedeva sull’azienda e lui, stimolato dal desiderio di conoscenza della ragazza, faceva fronte alle sue domande con soddisfazione, orgoglioso dei suoi progressi. Consigliava ai due figli maggiori le letture più interessanti, le manifestazioni culturali da seguire, aveva scoperto quanto fosse piacevole accompagnarli a teatro, osservare la loro meraviglia mentre seguivano le rappresentazioni sul palcoscenico. Era sempre lui che li aveva appassionati alla musica classica, soprattutto al melodramma italiano. Quante ore avevano passato loro tre insieme, nella biblioteca della villa, in religioso silenzio, immersi nella musica! Sabrina e Mirko erano la parte culturale della famiglia, della conoscenza, del sapere mentre nei gemelli aveva scoperto il lato artistico, creativo, molto più spiccato nel maschietto, più diligente e disciplinato: Agostino aveva avuto il merito di intuire per primo le capacità di artista del bambino e aver saputo coltivarle. Nelle bambine più piccole, il buon papà Agostino aveva trovato una fonte d’amore inesauribile ed a loro era permesso trasformare l’inflessibile “capitano” di industria, nella vittima preferita di scherzi bonari, piccoli dispetti affettuosi che lo trasformavano da rigido uomo d’affari, in un allegro compagno di giochi, sempre pronto a ridere, scherzare, cantare ed inventare storie buffe e divertenti. Ed Emma? Per la dolce mamma c’erano altrettante dimostrazioni d’affetto. A lei spettava il compito di insegnare l’educazione, il bon-ton, il vestire con eleganza, il gusto per le cose belle e, per le bambine, l’uso dei cosmetici come arma di seduzione. Sempre lei aveva spinto i figli a praticare sport: Sabrina si era appassionata allo sci, Mirko al tennis, Lorenzo al nuoto, Nadia e Katia all’equitazione. E per i ragazzi? Come erano stati quei primi anni per loro? In famiglia felici al di là di ogni più rosea aspettativa, fuori di essa più difficile, ma non tanto da spaventarli! Sabrina pretendeva dai fratelli la stessa dedizione allo studio che lei riservava al lavoro ed i ragazzi mantenevano l’impegno, con la serietà che li contraddistingueva. Il problema era il rapporto con gli altri, soprattutto con i compagni di scuola, fortunatamente non tutti, solo i rampolli più snob che frequentavano l’istituto privato dei giovani Valentini e che mal accettavano la loro compagnia. Poteva tutto ciò impensierirli? Non più di tanto! La vita era un lotta continua, lo avevano imparato sulla propria pelle e qualche scaramuccia in più riusciva solo ad infastidirli un po’, ma non li preoccupava: sapevano difendersi molto bene e sapevano che, finché fossero rimasti uniti, erano una forza inesauribile, alimentata dalla più vitale delle linfe, l’amore. Quante volte questo loro sentimento fortissimo li aveva salvati, protetti?

“Tantissime!” si rispose passando una lieve spolverata di fard sulle guance morbide “Nel bene come nel male, nella gioia e nel dolore. Sempre!”